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24 City

Regia:  Jia Zhangke

Cina 2008

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Se da un lato dunque troviamo due giovani rappresentanti del cinema europeo, dall’altro un (finalmente) affermato e (definitivamente) consolidato autore e rappresentante del nuovo cinema asiatico: Jia Zhang-ke con 24 City rafforza difatti nuovamente il carattere del suo stile inconfondibile, ibridismo di realismo lirico e finzione pulsionale, tracciando un nuovo percorso nella narrazione della storia e della trasformazione della Cina moderna.

Il film prende il nome da un complesso di appartamenti di lusso che sorgerà al posto della fabbrica statale 429, a Chengdu, oggi. Un intero aggregato di fabbriche di componentistica bellica attorno al quale si è sviluppata una città, un’ideologia, e più generazioni di operai, e che chiudendo per sempre cambierà radicalmente gli equilibri sociali ed economici della popolazione di lavoratori legati a questa attività.

Si alternano così le vicende individuali di otto personaggi e tre generazioni, esperienze di vita reale e monologhi immaginari: “ho deciso di integrare documentario e fiction in questo flusso parallelo perché mi sembrava il miglior modo di rappresentare l’ultimo mezzo secolo di storia cinese”, poiché per Jia Zhang-ke “la Storia è sempre un insieme di fatti e immaginazione”. Il film si dipana come un flusso di sguardo penetrante, in grado di stabilire una sorta di rapimento estatico verso la purezza della forma aulica degli elementi nel quadro  prospettico e il racconto intimistico dell’intervista. Come in una rielaborazione del paesaggio naturale di Kohei Oguri, Jia Zhang-ke pone l’occhio nel paesaggio industriale e incide il puro dialogo che si instaura tra uomo, ambiente e storia. 

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