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A Dangerous Method

Regia: David Cronenberg

Gran Bretagna/Ger/Can/Fra/Irlanda 2011

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Se la teoria psicanalitica diventa spesso un metodo trito e semplicistico per interpretare l’opera d’arte e, ancora di più, ogni fenomeno narrativo, per il cinema di David Cronenberg, quello stesso procedimento, si tramuta in un legame ambiguo e pericoloso; un elemento in grado di disturbare l'ordine razionale e costituito delle cose. A dangerous method rappresenta all’interno della filmografia di Cronenberg un passaggio delicato e necessario di messa in scena delle origini: il racconto, in apparenza solo e semplicisticamente, austero e lineare di uno dei passaggi cruciali e risaputi nella genesi della psicanalisi all’inizio del secolo scorso.

Il film si concentra infatti sul singolare ménage à trois che a partire dal 1904 si instaura tra Carl Gustav Jung, Sabina Spielrein e Sigmond Freud: dapprima ricoverata come paziente isterica nella clinica del giovane Dott. Jung, la Spielrein sarà il catalizzatore di un processo di discussione e rinnovamento che investirà l’allievo prodigio Jung nei confronti del maestro (e “padre”) Freud, in un confronto in grado di cambiare la natura del pensiero moderno. Se, dunque, i fatti biografici, sono - e dovrebbero essere - parte di una conoscenza diffusa e iscritti in una nomenclatura esacerbata da un detrimento mistificatorio proprio di una comprensione labile e arrendevole, l’approccio filmico da parte di Cronenberg al testo di Christopher Hampton (sceneggiatore prediletto da Stephen Frears: Le relazioni pericolose, Mary Reilly, Chéri; ma anche di Espiazione di Joe Wright e The quiet American di Philip Noyce nonché regista di Carrington e L’agente segreto) è del tutto personale e sotteso a un’indagine che spinge all’estremo la compostezza della forma per far emergere la tensione della parola. 

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“Io non credo alle coincidenze, io penso che nulla accada per caso, tutto ha un significato”, dice lo Jung cronenbergiano, antieroe scisso e controverso, sperso a controllare faticosamente e razionalmente l’enorme tentazione delle pulsioni alle quali lo sottopone il suo percorso di conoscenza e esplorazione analitica. Ed è in questa trama che ritroviamo l'ossessivo rimando al continuo peregrinare dello sguardo dell’autore: tutto ha un significato e dunque un significante, limpido, protervo, e di un rigore austro-ungarico nell’acribia con cui cesella pochi e intensissimi movimenti di macchina intenti a favorire un piccolo sommovimento o una lacerante disgregazione dell’animo. Ritroviamo una composizione controllata e artefatta in cui la profondità di campo è quasi del tutto annullata e la la distanza tra due soggetti viene appianata in un unico piano di messa a fuoco, in una sorta di dialogo con l’inconscio che coinvolge quasi esclusivamente Jung in rapporto di volta in volta con l’amata Spielrein, la moglie Emma - finanziariamente necessaria - , Freud ideologicamente irremovibile, ma anche con un bambino appena nato, o con il dettaglio delle lettere scritte a Freud in mano al paziente Otto Gross. 

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La forma di A dangerous method rimanda ad una perfetta geometria della triangolazione, che rappresenta in fondo lo schema ideale su cui prolifera il desiderio. Ed ecco allora che, tra una sequenza e l’altra, appare sempre più evidente che le ossessioni di Cronenberg non sono affatto sparite, ma anzi si sono assoggettate ad una logica di controllo plasmante, perché “Il piacere non è mai semplice” e ogni elemento di questo triangolo vive e sperimenta (sulla propria carne) l’impulso devastante del desiderio e la sua veemente negazione. Dopo A dangerous method non può che essere la parola il nuovo demone infetto che germina dall’uomo. I personaggi sono pedine lacerate del desiderio, ingabbiate in controversie verbali che fanno da contraltare a dissidi interiori e rapporti di forza: l’intenso carteggio tra Freud e Jung, a cui si aggiunge anche la Spielrein, rappresenta da solo un nuovo modo di delineazione della suspance drammatica, per cui avvengono grandi cambiamenti senza mai un equivalente riscontro nei gesti e nei volti dei protagonisti.

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La mutazione c’è, ma ora non appare più come un fatto emblematico della visione, e per questo riesce a essere ancora più potente e deflagrante perché già se ne conoscono gli effetti (“Secondo voi lo sanno che stiamo arrivando a portare loro la peste?” dice Freud all’arrivo della nave a New York) sia storici (la Guerra Mondiale è alle porte) che individuali: la portata innovativa della psicoanalisi ha minato dall’interno i vecchi pilastri della comprensione dell’essere umano, conducendo a un radicale cambiamento delle abitudini sociali e sessuali. Ed è anche grazie a questa spinta che esiste il cinema di David Cronenberg. E nel volgere paralizzato lo sguardo, lo Jung nell’ultima sublime inquadratura, cristallizza tutta l’inquietudine perturbante dell’uomo seduto di fronte a se stesso, in un rimando proiettivo dello spettatore davanti alla luce di questo cinema.

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