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Il castello errante di Howl (Hauru no ugoku shiro)

Regia: Hayao Miyazaki

Giappone 2004

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“Se non si è belli è inutile vivere”. È con questa frase spiazzante e indimenticabile pronunciata dal bellissimo principe Howl che si potrebbe condensare tutto il fascino dell’ultimo film del grande maestro dell’animazione Hayao Miyazaki.

La Mostra veneziana è stata l’occasione per vedere in anteprima assoluta l’attesissimo suo ritorno con Il castello errante di Howl. Già nelle intenzioni quest’opera si propone di essere una risposta alla domanda: “esiste l’animazione per gli anziani?” e non si può quindi aspettarsi di trovarsi si fronte ad un film per bambini. In fondo anche La città incanta (Orso d’oro a Berlino nel 2002 e oscar per migliore film d’animazione) e La principessa Mononoke non erano certo film rivolti solo ad un pubblico di giovanissimi. Anzi, raramente come in Miyazaki, attraverso il disegno, la fantasia, l’estetismo pregnante, ogni sua opera è portavoce di valori e maturità attraverso cui passano i sentimenti per il mondo d’oggi.

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Come La città incantata, anche ne Il castello errante di Howl la protagonista è una ragazzina, la diciottenne Sophie: il suo stato iniziale di quiete sarà stravolto dall’arrivo di una strega straripante adipe, la Strega della spazzatura, che la trasformerà in una vecchietta novantenne dolorante e con le ossa scricchiolanti. Quello che intraprenderà Sophie è un viaggio, un’avventura per ristabilire l’ordine, e soprattutto per capovolgere l’intero sistema che la trappola nella sua stanza a fabbricare cappelli. Il mezzo attraverso cui avverrà questo cambiamento è il cattivo mago Howl, che si ciba dell’anima delle ragazze.

 

Ciò che rende sempre più interessanti e attraenti i personaggi di Miyazaki è il continuo accrescimento a cui sono sottoposti, e le molteplici parti di cui sono composti. Ogni figura è caratterizzata e composita, e mai banale. Howl è ritenuto cattivo perché tutto il mondo in cui sono calati i personaggi è preda di un incantesimo decadente, è lo stesso castello di Howl ne è l’emblema. Un’accozzaglia di tubi e macerie sorretti da esili gambine, all’interno disordinato, sudicio e polveroso. Servirà la vitalità della vecchietta per cambiarne l’aspetto, la grinta e l’entusiasmo che da giovane Sophie non aveva, e solo la sua nuova condizione le permetterà di conquistare.

L’ambientazione sembra una ottocentesca città europea (forse Londra visto  che l’autore ha tratto la storia dal romanzo dell’inglese Diana Wynne Jones), con le stradine strette e tortuose, le botteghe, gli alti palazzi coi comignoli. La magia che riesce a creare Miyazaki è fatta prima di tutto di emozioni, che fluiscono dai suoi disegni così riconoscibili, morbidi, tondi. Una creatività senza limiti nel creare mostriciattoli deformi che si liquefanno tra le fessure e spaventano, un gusto per l’esasperazione delle forme, dei bordi, un distintivo utilizzo della colonna sonora che completa le immagini, le asseconda, le esalta, le influenza.

 

Il castello errante di Howl è anche una apologia antimilitarista, un segno contro la distruzione della guerra: Howl si trasforma in un rapace e tramite la porticina nel retro del suo castello si cala in realtà parallele e più tragiche che preferisce non condividere con i suoi compagni. Sì, perché sono numerosissimi gli amici e i nemici di Howl: lo spiritello del fuoco che alimenta il castello, il bambino che vive con lui, e, come non ricordare, il magnifico spaventapasseri saltellante, il primo ad aiutare Sophie, la strega delle lande desolare, la regina… Impossibile raccontarli tutti. Alla fine giustizia sarà fatta, com’è giusto che accada. Senza predica. Rimane solo il bello.

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