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Dou niu - Cow

Regia: Guan Hu

Cina 2009

Il cinema cinese è di fatto una presenza consolidata e immancabile in ogni festival e di per sé già questo (senza ricordare i premi e i nomi noti) è significativo a denotare la spinta creativa di un popolo costretto a tollerare divieti censori e a raggiungere delicati compromessi con le autorità della morale e della politica. Osservando però i risultati scaturiti da questo perpetuo confronto per l’ammissibilità della propria visione si riesce a evidenziare - per quanto generalizzato e sfaccettabile possa essere il contorno - una attitudine effusa e inequivocabile alla formazione di uno stile in grado di qualificare sia sul piano dell’espressione sia su quello del contenuto lo scorrere cinematografico della Cina continentale. Un cinema dunque che può essere considerato come diretta formazione di un sentimento popolare e rappresentazione delle varianti connotative che può assumere il segno al di là dei confini culturali di una nazione. 

Guan Hu è attualmente uno dei registi televisivi più famosi in Cina. Di fatto sconosciuto prima d’ora in Europa, ha presentato a Venezia (sezione Orizzonti) Dou niu (Cow), film assolutamente imprevedibile nella sua superba, insolita e rivoluzionaria compiutezza melodrammatica.

Siamo nell’inverno del 1940, in piena guerra contro l’invasione giapponese, Niu Er è l’unico sopravvissuto di un villaggio distrutto dalla ferocia del nemico; lui assieme alla preziosa mucca da latte olandese destinata al sostentamento dei soldati feriti. Di fronte al desolante paesaggio di morte l’uomo e la mucca, come unica alternativa alla solitudine e a un presagibile tragico destino, si vedono costretti a stabilire una relazione di reciproca ma non pacifica convenienza.

 

Il percorso di sopravvivenza di questa coppia è affrontato con la delicatezza, l’affetto, le contraddizioni e la rispettosa tolleranza, in primo luogo, dei sentimenti che emergono vividi senza per questo risultare ostentati o pateticamente marcati. E’ proprio questa attenzione per i sentimenti e le modalità attraverso cui è possibile modularli nella scena rendendoli vivi e soprattutto credibili il vero nucleo di questo film, e più ampiamente di un criterio di osservazione che conduce una certa produzione artistica cinese: “La mucca è l’animale che probabilmente meglio rappresenta il carattere del popolo cinese. Goffa e silenziosa com’è, rappresenta l’onesta e la perseveranza, virtù esistite principalmente nei cuori degli umili contadini che sfortunatamente sembrano appartenere al passato.”

Nelle parole di Guan Hu si rispecchia la storia di Niu Er e la sua mucca: il loro legame è regolato da una complicità che rende l’animale possessore di qualità ed emozioni umani mutuati dalla semplicità e dalla fedeltà dello strambo contadino. La conquista della reciproca tacita fiducia avverrà attraverso un graduale compiersi di situazioni più o meno paradossali, contingenti, tragiche o comiche, in una sorta di sincero tributo alla vita e a certi scomparsi valori.

Il rischio di rendere tutto pietosamente stucchevole era in effetti dietro l’angolo, tuttavia il regista sa maneggiare la materia e il film si dimostra come una sintesi ponderata tra istanze primordiali e opposte (la vita e la morte, l’affetto e la solitudine, il cibo e la fame) e il succedersi della narrazione ricorre continuamente a momenti del passato che integrano e di conseguenza definiscono di significato le azioni del presente organizzando così un tempo proprio della conoscenza, tipico di ogni relazione. Il risultato è una poesia onirica e per certi versi dirompente: grezza, amara e dolente nei confronti della bestialità dell’uomo, autentica e sensibile rispetto all’umanità della bestia. Una lirica questa che non finirà mai di essere dannatamente attualizzabile. In ogni momento, in ogni luogo. 

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