Dragged Across Concrete
Regia: S. Craig Zahler
Canada, Usa 2018
Due ispettori di polizia vengono sospesi dal servizio quando viene diffuso dai media un video che mette in luce i loro metodi violenti. Male in arnese economicamente e senza alternative, gli amareggiati poliziotti iniziano la loro discesa nel mondo della criminalità dove, ad attenderli nell’ombra, trovano più di quanto immaginassero.
I film di S. Craig Zahler sono macchine desideranti destinate alla rovina. Slavoj Žižek riprende l’idea lacaniana secondo cui un desiderio non è mai il semplice desiderio di un oggetto determinato, ma “è sempre anche il desiderio del desiderio stesso, il desiderio di continuare a desiderare”; e aggiunge: “La modalità classica della fantasia non è costruire uno scenario in cui mi immagino di ottenere ciò che desidero, ma uno scenario in cui mi immagino desiderato da altri”.
Come già sperimentato lo scorso anno nel sorprendente Brawl in Cell Block 99, il regista di Miami ama congegnare caustici apparati pulsionali sotto forma di genere, raffinando il tempo dell’attesa, dello scambio verbale, dell’incedere del pensiero per deflagrare poi nella fulminea e risolutiva resa dei conti. Come un materiale altamente infiammabile il racconto della penna di Zahler è maneggiato con precisione chimica e un gusto del miscelamento dei toni, dello sconfinamento delle traiettorie verso percorsi paralleli e incidenti e, in ogni caso, generatori di conflitti e destini immutabili.
Dragged Across Concrete porta con sé la stessa amara asprezza di una lunga esistenza senza soddisfazioni, come quella del poliziotto Brett Ridgeman, veterano senza alcuna carriera sotto la scrivania, incarnato dal corpo imbolsito di Mel Gibson con baffi poderosi, esperto e mordace motore dell’azione assieme al compagno Anthony Lurasetti, interpretato da un Vince Vaughn impeccabile e disilluso. La coppia di sbirri configura immediatamente quindi il genere dentro cui Zahler va ad operare la sua personale ristrutturazione: il poliziesco diventa un terreno da rivoltare e in cui innestare il fattore umano e la sua vulnerabilità, in un susseguirsi e moltiplicarsi di tracce disposte ad accavallarsi e poi toccarsi, o meglio, scontrarsi, in un’ineludibile abisso di cupa e cieca celia della frenesia del possesso ovvero l’inestinguibile operare del desiderio.
Una terza pedina, non meno conflittuale, chiude il cerchio dei protagonisti: il criminale appena scarcerato Henry Johns, un giovane nero che appena torna a casa scopre la madre a prostituirsi per pagarsi la droga, e il fratellino paralizzato lasciato solo. E quale via d’uscita se non tornare negli inferi che lo hanno condotto in prigione. Henry Johns è l’emblema di una tensione sociale aperta e sgorgante livore in un’America dalle certezze traballanti e dagli ideali scardinati. E così via via, tutti i personaggi che vengono introdotti nella trama, esaminano nel profondo quel senso misto di ansia e pessimismo immobilizzante perfettamente rappresentato nella messa in scena del film: la giovane mamma in crisi perché deve tornare al lavoro in banca e quindi lasciare il figlio appena nato per la prima volta; la moglie frustrata di Ridgeman costretta a ritirarsi dalle forze dell’ordine in giovane età a causa di una disabilità e con una figlia vittima di bullismo; il tenente Calvert, ex partner di Ridgeman che offre i proprio consigli su come far carriera; e infine l’estetica dell’appostamento, che acquisisce una dimensione morale e la fisicità di un interprete per raccontarci quanto sia necessario il tempo di osservare, ragionare, ponderare e talvolta anche di confrontarsi, e l’azione, quando necessaria, è qualcosa di pochi minuti o secondi, un atto perlopiù distruttivo e irreversibile.
Ogni pedina dello scacchiere di Dragged Across Concrete non si muove secondo un’indole etica - nessun accenno di maniera da supereroe hollywoodiano - poiché nessuno può contenere in sé un carattere solamente positivo. Zahler, pacatamente, porta i suoi personaggi a raschiare il fondo per inventare soluzioni che li conducano fuori dal precipizio. E lo fa partendo prima di tutto dalla lingua, una sorta di contraltare ironico e divertito con la quale i personaggi comunicano per autodefinirsi più che per mettersi realisticamente in contatto tra di loro.
La creatività linguistica fa del suo autore l’elemento del quale il cinema ha bisogno e il godimento del desiderio: da qui la durata e il suo dilatarsi nell’assecondare un piacere che si vorrebbe potesse non finire. L’abilità di Zahler sta proprio nel riuscire a rappresentare un mondo desiderabile ma non perché migliore e senza problemi, ma perché distintivo nel gioco dell’infinita capacità di alimentare le proprietà dell’appetito umano. E lo fa circondandosi di attori fidati, quasi a formare una squadra di interpreti riconoscibili (oltre a Vince Vaughn, ritroviamo Jennifer Carpenter, Don Johnson, Udo Kier già presenti in Brawl) e un clima di comodità familiare, dentro il quale muoversi con la sicurezza di chi può permettersi di arrischiarsi a maneggiare atmosfere e riferimenti cinematografici di un certo peso: Il principe della città, Taxi Driver, Heat, Quel pomeriggio di un giorno da cani, La sanguinaria, Rapina a mano armata, Hana-Bi, Il mucchio selvaggio. Configurazioni distanti tra loro che fanno sobbollire il carattere distintivo, la complessità morale e il mondo finzionale dell’opera di Zahler, di nuovo anche compositore - assieme al fidato Jeff Herriott - della colonna sonora originale dall’anima concretamente e armoniosamente jazz che rievoca lo stile hard bop di Charles Mingus, John Coltrane, Oliver Nelson e del Bernard Hermann della partitura di Taxi Driver.
Dragged Across Concrete si sedimenta come il cemento sul terreno argilloso dei sentimenti, il più delle volte sporchi e decrepiti, ma pur sempre forieri di una forza vivifica che permette ancora di sognare.