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Changhen ge (Everlasting Regret)

Regia: Stanley Kwan

Hong Kong 2005

Tra l’invasione di pellicole cinesi al Lido, è passato in concorso lo splendido Everlasting Regret (o Canto dell’eterno rimpianto) dell’hongkongese Stanley Kwan, autore tra i più conosciuti in patria e vincitore di riconoscimenti a festival europei come Berlino e Locarno. Purtroppo non è semplice evitare di cedere alla facile lusinga di fronte a questo film, e non si potrà mancare di definirlo immediatamente bello.

Un film indubbiamente lungo – per molti estenuante – tratto da un romanzo popolarissimo di Wang Anyi, eletto come l’opera letteraria più importanti degli anni Novanta. La vicenda è semplice da riassumere: la storia di una donna di straordinaria bellezza e della sua città, Shangai, riprese durante quel periodo di profondo cambiamento che va dal 1947 al 1981. Non è affatto casuale, e anzi è di primaria importanza, la collocazione storica della vicenda, essendo essa stessa parte costituente della narrazione. La vita della donna è infatti strettamente legata ai mutamenti del suo paese, che nel corso degli anni passa dalla caduta del Nazionalismo, al trionfo della Repubblica Popolare di Mao, alla fuga da Shangai verso Hong Kong di coloro che non riuscivano ad accettare il sistema comunista (legame diretto, questo, con le origini del regista), alla rivoluzione culturale, fino alla morte di Mao e all’impatto che ne conseguirà negli anni successivi. La donna di Shangai costituisce una fortezza che col trascorrere degli eventi viene attaccata, si difende, si sgretola e si ricostruisce.

 

Il ritmo lento è di fatto un’illusione creata dalla delicatezza e dalle mille sfumature dei sentimenti umani, delineati con la finezza del melodramma e creati con l’ausilio incommensurabile del fascino delle luci sature, soffuse, armoniosamente calibrate, del fuoco sapientemente dosato, delle boccate di fumo che riempiono una sospensione o un’incertezza. Alla fine si perde la capacità di tenere traccia della quantità di fatti e personaggi che si intersecano nel corso anni, degli amori che la nostra donna inizia e, inevitabilmente, finisce per perdere o ritrovare. Privo della sontuosità viscontiana – al quale non è strettamente legato, ma in qualche modo finisce per rimandare – è tuttavia impregnato di una nobiltà d’animo e un profondità che lo rendono uno dei melodrammi più suggestivi degli ultimi tempi.

 

A questo punto, è inevitabile finire col ricordare Wong Kar-wai e il suo inarrivabile In the Mood for Love; e più di un’affinità appare evidente – posto che sia corretta un’operazione di confronto – soprattutto dal punto di vista stilistico, dove Everlasting Regret sembra debitore di quelle peculiarità formali che rendono unico Kar-wai. Non sembra proprio un caso in questo senso, difatti, la presenza nel cast tecnico di William Chang, montatore, scenografo e costumista di ogni opera di Wong Kar-wai. Ciononostante l’opera di Stanley Kwan non sembra sminuire, essendo, nel complesso, ripulita dalle costanti karwaiane e, probabilmente, costituisce un omaggio ad un’estetica (ed un’epoca, quella degli anni Quaranta e Cinquanta) cara agli autori di Hong Kong. Lo stesso Kwan dice a proposito: “La ricca storia cinematografica di Shangai nella prima metà del Novecento si riflette pochi decenni dopo nell’esplosione del cinema di Hong Kong. La mia generazione è cresciuta a Hong Kong in un momento in cui i valori e la cultura di Shangai, importati dalla popolazione immigrata, esercitavano una profonda influenza”. 

Il canto di Stanley Kwan può risultare di autocompiacimento per il distacco con il quale a volte sembra partecipare al coinvolgimento emotivo, ma è uno sguardo di assunzione di un passato e di una realtà che può essere troppo ardua da trattare senza il necessario disgiungimento. “Changhen ge è quindi un racconto sulla vecchia Shangai, un’allegoria della moderna Hong Kong e, in definitiva, rappresenta la condizione universale delle città e della gente che le abita”.

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