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Far East Film Festival di Udine 8

Anche quest’anno Udine "porta a oriente” e la figura longitipica della ragazza della locandina (dal volto decolorato e meditabondo, vestita con uno sfavillante cappottino rosso) ci conduce all’interno del nutrito programma. Una selezione, quella dell'VIII Far East Film Festival, che, rispetto agli anni scorsi, si è fatta ancora più densa, specchio del sempre più crescente interesse da parte di pubblico e stampa, e della risonanza internazionale suscitata dall’evento. I numeri parlano chiaro: 50 mila spettatori e mille accreditati da più di venti paesi diversi. 

In sintesi: Hong Kong, Corea del Sud e Giappone, erano i paesi maggiormente rappresentati con, rispettivamente, dodici, tredici e otto pellicole; seguivano Cina e Filippine - quattro ciascuna -  Thailandia con sei, Taiwan con una. 

Il festival si è aperto all’insegna dell’horror d’autore con la prima visione europea dell’ultimo lavoro di Takashi Miike Imprint, episodio della serie Masters of Horror (a cui  hanno partecipato anche John Carpenter, Joe Dante, John Landis, Dario Argento), commissionato, e poi esiliato, dal canale satellitare americano Showtime. L’horror, come genere, nelle sue varie forme, ha permeato la visione di diversi film, anche se propriamente non di genere (per quelli non poteva non ripetersi il “sacro” rito dell’horror day…), tra cui è doveroso menzionare Rampo Noir, oggetto perturbante e di indelebile memoria.

Le sorprese maggiori sono arrivate dalla retrospettiva dedicata al musical asiatico Asia canta!, dal tributo a Meike Mitsuro – regista di Pink movies – e dall’omaggio al grande autore giapponese Jissoji Akio. Ma è proprio il già citato Rampo Noir a unire, o meglio, condensare, la curiosità e l’interesse verso generi e nomi (a noi) così poco conosciuti. Rampo Noir è un film composto da quattro distinti episodi basati sulle storie di Edogawa Rampo firmati da quattro diversi registi, i giovani Takeuchi Suguru e Kaneko Atsushi e i più anziani e stimati Sato Hisayasu e Jissoji Akio, con protagonista Asano Tadanobu, famoso per i suoi ruoli nel cinema indipendente giapponese e già visto in Zatoichi di Kitano. Edogawa Rampo (vero nome Hirai Taro, 1894-1965) è un discepolo di Edgar Allan Poe e Arthur Conan Doyle, ha reso popolare in Giappone il romanzo giallo con Akechi Koguro, una versione locale di Sherlock Holmes, rimodellandone i contenuti e creando un proprio genere, chiamato eroguro, che è una commistione di erotico e grottesco. 

I suoi romanzi hanno ispirato decine di film e spettacoli televisivi nel corso degli anni e in particolare hanno assecondato la fantasia di Jissoji Akio (nato a Tokyo nel 1937) prolifico autore già a partire dagli anni 60 di serie televisive, passando per il poliziesco e il giallo, per lo sperimentalismo e il visionario, poi per i film d’essai, approdando infine al cinema di genere (science fiction ed eroguro). Jissoji ha realizzato tre film basati sulle storie di Rampo: A Watcher In The Attic (Edogawa Rampo Monogatari: Yaneura no Sanposha, 1994), Murder On D Street (D Zaka no Satsujin Jiken, 1997, forse il suo capolavoro) e The Hell Of Mirrors (Kagami Jigoku, 2005) secondo episodio di Rampo Noir (tutti proposti nel corso del festival).

I tre film di Jissoji Akio tratti da Rampo sono “storie del mistero, immerse nell’erotismo, nel decadente e nel macabro, con una base di umorismo beffardo e di sguardo penetrante sulle più basse passioni umane”, in cui il protagonista detective Akechi Kogoro, “dall’intuito inquietante per i recessi più oscuri dell’animo umano, guance scavate, altezza imponente, modi concisi”, indaga, sulle perversioni voyeristiche di un giovane languido abitante di una pensioncina della Tokyo di inizio secolo (A Watcher In The Attic), sull’uccisione della proprietaria di un negozio di libri con una certa propensione per il sesso perverso (Murder On D Stree), sull’uccisione di alcune donne legate ad un particolare specchio giapponese (The Hell Of Mirrors).

 

Per quanto i film e le storie siano a tutti gli effetti dei gialli, in cui il fine ultimo è la scoperta dell’assassino e i modi dell’assassinio, Jissoji è interessato, sempre, più allo sviluppo delle caratteristiche umane, folli, esacerbate, intrinseche dei personaggi (investigatore compreso), che alla mera scoperta dei fatti. L’autore riesce a creare un mondo con una esclusiva atmosfera ovattata, contenitrice di pulsioni e istinti primari e fecondi, e usa a pretesto l’intreccio narrativo per svelare le ombre e i sospetti della psiche, provocando una sorta di danza perpetua sui ricordi, la percezione, il passato, l’immaginazione: “Mi piacciono le cose che non hanno uno scopo. Non amo i film il cui obiettivo è commuovere la gente oppure darle forza. Tutti i miei film sono esattamente l’opposto: non hanno alcuno scopo”.

Rampo Noir fa da legame anche con un altro importante filone della cinematografia giapponese: i film pink (pinku eiga), di cui Sato Hisayasu è uno dei cosiddetti “quattro imperatori”. L’episodio diretto da Sato, Caterpillar (Imomushi), non costituisce affatto un pink – è più schiettamente eroguro nel classico stile di Rampo – ma può essere a suo modo assoggettato per alcuni aspetti erotico-sessuali: il tenente Sunaga torna dalla guerra ridotto a un torso mutilato, senza mani né piedi né lingua, in grado di comunicare solo con grugniti, gemiti e con gli occhi tormentati (un bruco, come dal titolo). All’inizio la moglie si occupa di lui ma col tempo si stanca e scopre un modo migliore per accudirlo…

E’ proprio nella personaggio della moglie che il film risente dell’anima pink del regista: giovane e attraente con marcati e frequenti desideri sessuali. Di fatto i film pink sono a tutti gli effetti dei porno soft (la formula prevede una scena di sesso simulato ogni dieci minuti circa), destinati ai cinema pidocchiosi frequentati da anziani maniaci sessuali, ma che in taluni casi, data la discreta quantità di libertà di sperimentazione, riescono ad elevarsi e diventare qualcos’altro. E’ il caso di Bitter Sweet (2004) e The Glamorous Life of Sachiko Hanai (Hanai Sachiko no Karei no Shogai, 2005), entrambi di Meike Mitsuru.

 

Il trentasettenne regista ha vinto nel 2002 il premio come migliore regista di pink, e con questi due titoli è riuscito a trovare una distribuzione fuori dal circuito a luci rosse. Ciò che li contraddistingue dai normali prodotti pink è “la penetrante aria di nostalgia, frustrazione e tristezza, abbastanza comune nella vita reale ma davvero rara nel porno”, soprattutto per quanto riguarda Bitter Sweet, dove ci si trova di fronte a situazioni comuni e facilmente identificabili: strade generiche, stanze d’albergo, ristoranti della vita urbana giapponese.

Per contrasto invece The Glamorous Life of Sachiko Hanai risulta molto più bizzarro e spassoso: l’eroina (come sempre dotata di un corpo tutto curve) viene colpita casualmente da un proiettile che le si ferma nel cervello aumentando a dismisura il suo quoziente di intelligenza: divora libri di Kant, Sartre e Chomsky e inizia a declamare frasi dotte. Il film diventa così, e non marginalmente, l’occasione per satireggiare un po’ su tutto, dalla presunzione accademica alla politica estera di George W. Bush.

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