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Goldstone

Regia: Ivan Sen

Australia 2016

Sulle tracce di una persona scomparsa, il detective Jay Swan si ritrova nella piccola città mineraria di Goldstone, dove viene arrestato per guida in stato di ebbrezza da un giovane poliziotto locale, Josh. Quando la stanza del motel di Jay viene fatta saltare in aria, diventa chiaro che nel distretto si nasconde qualcosa di molto più grande. Jay e Josh saranno così costretti a superare la loro sfiducia reciproca per scoprire una verità tutt’altro che gradevole. Quella che sembra una semplice indagine, svelerà invece una rete di crimine e corruzione nell’istituzione che controlla la città, la miniera e il consiglio aborigeno locale. 

Decidere di attraversare il territorio impervio del film di genere, per un regista o uno scrittore, comporta rischi e mette a duro confronto un’intero impianto estetico con la consapevolezza e l’autorevolezza di quando è già stato scritto e filmato. L’australiano Ivan Sen si è fatto notare proprio per le sue capacità nel riprendere i generi e fornire un’espressione originale della propria visione di racconto per immagini: con Goldstone, il suo ultimo lungometraggio, porta i codici del noir nel desolato e polveroso Outback del suo continente e li combina con l’iconografia del western classico, a cui quel territorio sconfinato si presta con innegabile fascino.

Ci sono gli aborigeni, reietti resti di una colonizzazione bieca e decadente, e ci sono gli omicidi, attorno ai quali si apre un vaso di corruzione e corruttibilità come unico anelito di rivalsa per un’esistenza relegata ai margini della civiltà. C’è una sparizione sospetta, e c’è un investigatore indigeno, tormentato e disilluso, che cerca di far luce là dove è meglio non vedere. Egli è costretto, suo malgrado, a far coppia con un ingenuo poliziotto locale, portatore di una morale e di un coraggio assai rari a Goldstone, e creare così l’unica forma di legame di quella landa sottomessa.

Il sole violento del deserto, l’arsura, la polvere, le squallide roulotte disperse nel nulla invadono, nella loro solitudine, il cinico opportunismo di chi vaga per quelle zone. L’indagine per il detective Swan è l’occasione per ripercorrere le tracce di un percorso che rimanda alle sue origini e a quelle di quella stessa terra. Nel ripetersi degli incontri, dei volti, delle frasi e dei percorsi che i due poliziotti compiono, emerge un senso di spiritualità perduta e la mancanza di un senso di appartenenza che richiama l’atmosfera e la riflessione finalistica della prima stagione di True Detective. 

Il regista Ivan Sen è un fiume in piena creativo: ha sceneggiato, montato, curato la fotografia e composta la colonna sonora del film. Difficile trovare un elemento fuori posto, tutto è tracciato con scrupolo impressionista, e il tempo, rilassato e meditativo, scorre cadenzato da un ritmo che prepara minuziosamente all’azione, fino all’ultimo e decisivo duello finale, degno del miglior immaginario western. E quell’amarezza di fondo, che contraddistingue dall’inizio alla fine il sapore insubordinato della ricerca di Swan, in fondo parla del sentimento del suo autore per la sua nazione, e la deriva sconfortante che sembra aver intrapreso il decorso umano e politico del suo popolo dominatore. 

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