Lilja 4-Ever
Regia: Lukas Moodysson
Svezia 2002
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Lilja è una ragazza di sedicianni. Vive in un anonimo sobborgo putrido e desolante disperso da qualche parte dell’ex Unione Sovietica. Viene abbandonata dalla madre che fugge in America con un uomo. E’ costretta a vivere sola, senza soldi ma non perderà mai la speranza che anche lei, un giorno, potrà condurre una vita decente. Il suo unico amico è un ragazzino più piccolo di lei, Volodia, ridotto nelle stesse condizioni. La loro vita non conosce altro che umiliazioni, il loro mondo è cosparso di desideri semplici e illusioni di serenità che non si realizzeranno mai. Per vivere è costretta a prostituirsi, viene ingannata da un uomo di cui si innamora che la convince a trasferirsi in Svezia, ma anche lì verrà maltrattata e condannata alla stessa vita che si è lasciata alle spalle.
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E’ tremendo ripercorrere con il pensiero la storia di Lilja, perché spaventosa è l’idea che quella sia la vita di molte ragazze che, come lei, si trovano a vivere nella medesima realtà. Si tratta di una realtà frantumata di un paese decaduto in cui non persiste praticamente più alcun valore, se non, forse, quello dei soldi. Lukas Moodysson prosegue con il tracciare un ipotetico discorso sociale dopo Fucking Amal e Together (certamente più rasserenanti), ponendo qui una peculiare attenzione alla figura dei giovani, che più di tutti assimilano e sopportano e manifestano il dolore e l’incertezza che la vita li costringe ad accettare. Meno compiuto rispetto ai lavori precedenti, Lilja 4-Ever è soprattutto un feroce schiaffo atto a svegliare dal torpore tutti coloro che faticano a credere, o fingono di non vedere, la consistenza della sventura che incombe sul presente della "civiltà". E lo stile realista , consunto, sporco, alla “danese”, non potrebbe essere più azzeccato per lo scopo.
Concretamente consci del dramma a cui assistiamo non risulta facile arrendersi, E accettare, inermi, il destino della protagonista. Lilja (Oksana Akinshina), candida e tenace, ci afferra con il suo ingenuo sorriso e lo sguardo sfinito di chi ha visto troppo, per dirigerci laddove, laida, alberga la rovina.