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Locarno Film Festival 57

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È grazie alla sapiente mano di Marco Muller (ora al timone della mostra di Venezia) se quello di Locarno è diventato, nei dieci anni in cui è stato direttore (1991-2000), uno dei principali festival del cinema assieme a Cannes, Venezia e Berlino. Da tre anni, il curatore artistico è Irene Bignardi e per questa 57ª edizione lo spirito non è stato tradito: sguardi lontani dalle megaproduzioni americane e, inutile a dirsi, sconosciuti e invisibili, ma anche di ricerca, d’attualità e d’autore. Una fitta programmazione divisa in dieci sezioni (e in più la Retrospettiva e la Settimana della Critica), con un occhio di riguardo per quel formato, il video, spesso troppo trascurato e fonte inestinguibile di pregevoli novità, mezzo unico e, ormai prediletto, per quegli sconfinamenti di genere che spesso la pellicola non permette. Di fatto, lo spazio concesso al video e al documentario, è un’efficace soluzione che permette a Locarno di non venire schiacciato dall’egemonia di Cannes e Venezia.

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Nel marasma di titoli che si presentano al cinephile, pochi comunque risaltano davvero e, a conti fatti, la RETROSPETTIVA NEWSFRONT (dal film omonimo di Phllip Noyce del 1978), dedicata al rapporto tra cinema e giornalismo, si dimostra la sezione più omogenea e organizzata, con pellicole del cinema muto come The Cameraman di Buster Keaton (1928), L’affaire Dreyfus di Méliès (1899) e Fantomas di Loui Feuillade (1914) fino ad arrivare a La conversazione di Francis Ford Coppola (1974), Alice nelle città di Wim Wender (1973) e all’Antonioni di Blow Up (1966). Numerosissimi i titoli (quasi tutte copie restaurate) tra  cui alcuni  curiosi inediti  come una serie  di mediometraggi in beta di Tsai Ming-liang.

 

All’interno della sezione HUMAN RIGHT PROGRAM è stato presentato Notre Musique, l’ultima fatica di Jean-Luc Godard. Un lavoro teorico al limite del documentario dove le immagini e la musica, ancora prima delle parole, raccontano, scuotono, minano il nostro sguardo in un complesso circolo di violenza dell’uomo sull’uomo. Una riflessione sull’opera stessa nel suo prodursi, sulla deriva del presente, con dialoghi ridotti per lo più ad aforismi o citazioni, da Montesquieu a Euripide. Il prologo è disarmante: flash di luce, immagini di guerra, di vecchi film, di reportage, montate in un crescendo frenetico accompagnato da un piano palpitante. La sensazione è di un’imminente esplosione, che non avverrà…

 

A chiusura una considerazione “logistica”. La cornice di Locarno è molto allettante esteticamente e le visioni in piazza grande sono uniche nel genere. Peccato per il costante maltempo del quale il festival è vittima ogni anno. Per chi non ama godersi i film sotto la pioggia munito di mantelline trasparenti (in vendita ormai dovunque) rimangono le sale fuori dal centro: palestre e auditorium di un complesso di istituti e licei, adibiti allo scopo con sedie in plastica. Tutto sommato non molto confortevole. In più l’italiano, nonostante sia la lingua ufficiale, non viene preso in considerazione nei sottotitoli e per chi non ha dimestichezza con le lingue… Certo raramente capita di trovare una città completamente dedita alla venerazione di un simbolo – il leopardo – che in ogni angolo (farmaci comprese…) mostra la sua zampa e il suo manto maculato. Una passione davvero invidiabile alla quale è difficile non affezionarsi almeno un po’.

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