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Road To Perdition

Regia: Sam Mendes

Usa 2002

Road to Perdition segna il ritorno del regista inglese Sam Mendes  film successivo in archivio, reduce del successo (e dell’oscar) ottenuto con American Beauty e forte della libertà espressiva, e soprattutto finanziaria, conquistata dopo la consacrazione a “grande regista”. Questa volta costruisce un’opera altrettanto perfetta   ma di tutt’altro genere. Ci troviamo di fronte ad un gangster movie ben congegnato, dove ci sono i killer, le famiglie, i padri e i figli. Ed è sul rapporto padri-figli che si sviluppa essenzialmente la trama: Tom Hanks, un gangster irlandese al servizio del boss Paul Newman che l’ha adottato, vedrà moglie e figlio massacrati dopo che l’altro figlio, il primogenito, è stato testimone della resa dei conti tra due “clan”. Ha così inizio il drammatico cammino di autodistruzione di un padre (Hanks appunto) per salvare il figlio da un tragico destino e garantirgli un futuro migliore…

Mendes ha dalla sua una sceneggiatura meno banale della media dei copioni hollywoodiani ed è soprattutto molto abile nel dipingere ambienti e far trasparire stati d’animo, siano essi la messa in scena di un’analisi attenta e cinica di una società, quella americana, che vive l’ossessione verso alcuni incubi (o bisogni?) inconsci come violenza, criminalità e vendetta anche attraverso personaggi, spietati ma allo stesso tempo “puri”. Ed è un gran bello spettacolo il duello d’attori tra un Newman ruvido, segnato dal tempo e dall’esperienza, e un Hanks intrepido e disincantato e allo stesso tempo affettuoso (qualche volta cade però vittima di sé stesso: non è facile trasformarsi in “cattivo”...). In sordina un Jude Law spesso caustico, sempre capace di frizzare l’ambiente, anche quello di un’opera callida e non sempre autentica. Road to Perdition non riesce infatti, specie nel finale, a scontare il suo debito verso Hollywood e scade inesorabilmente nella profusione di valori quali l’amore, la serenità, il bene. Esemplari, consolanti… un po’ troppo manierati.

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