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The Donor

Regia: Zang Qiwu

Cina 2016

Yang Ba, uomo d’estrazione modesta, non ha scelta: per evitare la demolizione della sua casa e continuare a sostenere le spese scolastiche del figlio deve sottoporsi all’espianto di un rene. A giovarne sarà la sorella del ricco Li Daguo, in pericolo di vita. L’operazione però fallisce, e Li Daguo cerca di convincere Yang Ba a cedere un rene del figlio. Ma la persuasione diviene aperta minaccia, e Yang Ba è costretto a difendere la famiglia in ogni modo possibile.  

La sequenza iniziale di un film possiede un impeto cardinale nello strutturare la predisposizione dello sguardo sull’universo filmico. In quel frangente in cui dal silenzio e dal buio, lo spettatore viene scaraventato in un altrove sconosciuto, come in un parto, è necessario munirsi di sistemi che attutiscano i colpi ai quali verremo sottoposti. The Donor si apre con un’incredibile scena realizzata con un drone, la cui ripresa inizia con il filmare, dal cielo, un individuo su un mezzo a due ruote che esce di casa e percorre una strada. Quel che la visuale privilegiata della macchina da presa lascia scoprire mentre avanza, è l’ambiente in cui si trova, dapprima, la povera abitazione del personaggio, e poi, quello che esso si ritrova a percorrere con la motocicletta.

 

Siamo in Cina, in una di quelle metropoli in cui il futuro si sta costruendo a vista d’occhio e il protagonista in sella del suo motore, nel giro di pochi minuti non è altro che un piccola luce di quel sistema di strade ed edifici che per la sua potenza toglie qualunque identità e speranza. E’ già tutto qui il film dell’esordiente Zang Qiwu, una nuova voce del panorama del cinema a basso costo del gigante cinese, con alle spalle una gavetta su svariati set di Zhang Yimou, dal quale ha sicuramente assorbito un’attitudine per la messa in scena: in pochi minuti, con sapiente uso della tecnologia, fa fare uno scatto avanti ad una storia di ordinaria divisione di classe della Cina contemporanea. I cineasti di quella terra infatti non possono non riflettere sull’inevitabile condizione di trasformazione endemica a cui sono sottoposte le loro vite e l’altrettanta afflizione per l’aberrante discriminazione che di conseguenza viene a prodursi.

 

Ciò che risalta nell’opera prima di Qiwu non è l’originalità del tema ma l’attenzione verso i dettagli della scrittura, oltre che per le intuizioni registiche. Il criterio di esasperazione drammatica a cui porterebbe questa storia, viene arricchito da atmosfere inquietanti e sospese, cariche di una brutalità che vira al nero e, mentre assistiamo alla mercificazione degli organi umani come ulteriore metodo per definire il potere del denaro, ci leghiamo umanamente ed empaticamente ai sentimenti dei personaggi che, nel loro tormento interiore, non possono essere mai solo buoni né cattivi. «Durante le riprese e la postproduzione avevamo ben chiara l’idea di creare immagini sorprendenti. Abbiamo preparato proscenio e fondali in modo accurato, perché protagonisti e personaggi secondari fossero chiaramente distinguibili. Stessa cosa per la stratificazione dei personaggi e gli oggetti nelle inquadrature. Per una persona qualsiasi come Yang Ba, ad esempio, abbiamo colto gli aspetti più semplici e veritieri della sua vita». 

Un film che non ha lasciato indifferenti né pubblico né critica e vincitore del Torino Film Festival 2016. 

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